Felici a tutti i costi…Ma perché?

Si chiama “happycracy” questo fenomeno che ci vuole belli e felici, anche quando non è così che ci sentiamo.

Essere felici a tutti i costi. Per dimostrare agli altri che stiamo vivendo una vita super bella, da condividere sui social, ammirata e invidiata da chi ci circonda.

Il “vissero per sempre felici e contenti” un tempo, leggendo le fiabe, ci dava un senso di spensieratezza, di felicità, di appagamento.

Ma oggi? Che succede se non sei felice e contento?

Sei out!

Sei fuori dal mondo!

Sei malato!

Il vissero felici e contenti, oggi, è una condanna.

Perché?

Edgar Cabanas e Eva Illouz nel loro libro “Happycracy. Come la scienza della felicità controlla le nostre vite”, parlano di quella che è diventata una ricerca della felicità senza fine.

Sì, perché se ci pensi bene ci sarà sempre qualcosa che non hai o che non ti piace, qualcosa che ti impedisce di essere felice al 100%.

E proprio su queste mancanze fa leva la felicità a tutti i costi: queste carenze ti portano a rincorrere un qualcosa che in realtà non esiste: la felicità assoluto.

Potrebbe mai esistere la felicità assoluta, senza se e senza ma?

Difficile, se non impossibile.

Di tanto in tanto è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici” diceva G. Apollinaire.

Perché mentre stai cercando con tutte le tue forze di dimostrare agli altri quanto la tua vita è piena ed invidiabile, di fatto ti stai obbligando ad essere chi non sei. Ti stai ingannando.

Ed allora, a volte, sarebbe meglio fermarsi un attimo a riflettere e, magari, fare un passo indietro.

Quindi, i social sono da condannare?

Non penso questo.

Anche se, mi sembra evidente, che i social hanno amplificato questo fenomeno, tanto che è difficile vedere sui social qualcuno che pubblica storie mentre è triste o video mentre fa qualcosa di poco divertente.

Come se, soprattutto sui social, dovessi pubblicare solo una versione positiva di te stesso.

Ma non sono i social hanno contribuito a far passare questo messaggio.

Se frequenti le librerie, ti sarai sicuramente accorto che negli ultimi anni gli scaffali si sono riempiti di libri di “Psicologia positiva” e di libri self-help, cioè manuali di auto-aiuto per riuscire a superare le difficoltà da soli.

Che conseguenze ha tutto questo?

Il rischio è che si inizi a considerare la felicità unicamente come un qualcosa che deriva dalle proprie capacità personali, dalla propria volontà, dal proprio impegno.

Ecco, perciò, che quel manuale ti dà le istruzioni per renderti più felice, per riuscire a fare colpo sugli altri, per superare quel problema solo ed unicamente con le tue forze.

Quindi, per logica, se non ti impegni TU per creare la tua felicità, sarai destinato ad una vita infelice.

Z. Bauman, sociologo e filosofo, afferma che

Nell’antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale.”

E l’effetto collaterale maggiore è proprio questo: la felicità è un diritto universale, l’emozione principe, l’unica che merita un discorso a parte e tanto fervore al riguardo.

Ed invece le altre emozioni che fine fanno? Se sei tanto impegnato a mostrare o ricercare la tua felicità, dove hai messo la rabbia, la tristezza, la frustrazione, il dolore?

Sembra che siano sparite dal palcoscenico per ritirarsi dietro le quinte o chissà dove. Sì, perché sembra, appunto, che queste siano le emozioni sbagliate, le emozioni da reprimere e l’unica soluzione è costringerle all’esilio, con una conseguente estraniazione dalla realtà.

In conclusione…

Lo psicanalista C.V. Jung, affermava che “vivere una vita felice significa soprattutto arrivare ad essere più compiutamente se stessi, integrando le proprie parti in luce con le proprie ombre”.

Essere felici, quindi, non è vivere una vita senza problemi e difficoltà. La felicità è risolvere quei problemi, superare le difficoltà, facendo certamente leva sulle proprie risorse personali e sulle proprie abilità.

Ma non per questo escludendo tutte le altre emozioni e considerando la felicità come un dictat.

La felicità non può essere imposta né indossata alla meglio. Non può, soprattutto, essere simulata. Bisogna avere una ragione per essere felici.

Consapevoli, però, del fatto che si può fallire, si può sbagliare…e si può chiedere aiuto. E questo è del tutto normale.

Bibliografia

Cabanas E, Illouz E. (2019). Happycracy. Come la scienza della felicità controlla le nostre vite. Torino: Codice.

Harris R., (2015), La trappola della felicità, come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Trento: Ed. Erickson.