Siamo sicuri che una volta finito del tutto il lockdown, saremo capaci di uscire come se nulla fosse?
Probabilmente, oggi, se chiedessi ad una qualsiasi persona italiana cosa vorrebbe di più in questo momento, mi risponderebbe “la fine totale del lockdown”, quindi il ritorno alla normalità personale e collettiva.
La reclusione forzata a cui siamo stati sottoposti, le attività lavorative interrotte, che con la fase 2 hanno visto la sola riapertura di poche imprese e attività, le scuole in modalità virtuale, le uscite solo per fare la spesa ed una corsetta in solitaria…tutto poi da certificare con la famosissima (e mai uguale) autocertificazione!
E così il nostro bene supremo, la libertà, ci sembra cosa assai lontana e non vediamo l’ora che questo brutto periodo finisca per mettere fine a tutti questi disagi.
Ma ci potrebbero essere difficoltà anche dopo.
Perché?
Forse non hai mai sentito parlare della “sindrome della capanna”.
Adesso ti spiego di cosa si tratta.
La sindrome della capanna
Perché uscire se posso lavorare comodamente da casa dietro un pc, vestito comodo, evitare il traffico nell’ora di punta, comprare quello che voglio su qualsiasi sito e riceverlo tranquillamente a casa, ordinare la spesa online senza stressarmi a fare la fila?
Se all’inizio eravamo destabilizzati all’idea di essere privati, anche se per un giusto motivo, della nostra libertà di spostamento, e la cosa ci rendeva ansiosi, ora potrebbe succedere il contrario.
L’abitudine a non uscire, l’isolamento in cui tutti noi abbiamo vissuto negli ultimi mesi, potrebbero produrre in molti Italiani la sindrome della capanna, una sorta di paura o scarsa volontà a voler uscire di casa.
Da dove deriva questo termine?
Il termine sindrome della capanna è stato coniato negli Stati Uniti ed utilizzato per descrivere ciò che accadeva a quei popoli costretti ad un vero e proprio lockdown nei lunghi inverni glaciali. Queste persone, una volta finito l’inverno e giunto il momento di uscire di casa, avvertivano un senso di inadeguatezza e di incertezza con una concreta difficoltà a tornare ad interfacciarsi col mondo esterno.
Per fare un paragone, è come quando un detenuto, finita la pena, esce dal carcere e torna alla sua vita. Non so se vi sia mai capitato di parlare con uno di loro, ma la maggior parte afferma che i primi tempi si sono dovuti ri-abituare a tutto, anche ad un banale suono del clacson per strada.
Le nostre case, in questo periodo, sono diventate un rifugio, una “capanna” appunto, e proprio non vogliamo staccarcene. Abbiamo trovato in esse una certezza di sicurezza e adesso ci viene difficile lasciarla andare.
Come uscire da questa situazione?
Nel bene o nel male, in tempi anche molto brevi abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di vivere e di vedere il mondo. Città deserte, negozi con le serrande abbassate, persone con mascherine e guanti.
La nuova realtà ha un forte impatto, può sconcertare, disorientare, potremmo persino rifiutarla e, appunto, cercare di non vederla restando a casa il più possibile.
A questo, poi, si unisce un altro fattore: a livello neurobiologico e fisico, meno movimento faccio, meno esco di casa, meno avrò voglia di uscire.
Potrebbe essere un disagio temporaneo, ma è qualcosa di cui bisogna tenere conto.
Ecco che cosa puoi iniziare a fare:
1. Procedi per piccoli passi
Forse ti sembrerà una cosa detta e ridetta, ma mai come adesso è così attuale.
Ti ricordi il carcerato di cui parlavamo sopra?
Ecco (non che tu lo sia…) ma, devi ri-abituarti anche tu al mondo esterno.
Se, però, lo fai in modo troppo brusco, può succedere che ti spaventi ancora di più ed il desiderio di tornare a casa, nel tuo luogo protetto, anziché diminuire, aumenta.
Quindi, il mio suggerimento è quello di procedere un passo alla volta, sperimentando il tuo ritorno alla normalità facendo ogni giorno una piccola cosa “nuova”.
Può esserti utile programmare ogni sera la cosa che ti piacerebbe fare il giorno dopo, stabilendo un orario e descrivendo come te la immagini, quali emozioni pensi che proverai, cosa penserai, ecc. Scriverlo può esserti di aiuto per “visualizzare” quello che poi andrai a fare e renderlo più familiare.
2. Comportati “come se…”
Sai che ciò che pensi influenza ciò che fai?
Immagino che ti verrà sicuramente in mente un esempio in cui hai pensato così intensamente e continuamente a qualcosa (di bello o brutto) che poi, quasi come per magia è successo. In realtà non c’è nessuna magia, ma se predisponiamo il nostro pensiero in una certa direzione, è molto probabile che faremo poi consapevolmente o meno delle azioni che ci porteranno a realizzare quel pensiero. Una sorta di profezia che si autoavvera.
Puoi però sfruttare questo meccanismo a tuo vantaggio ed ora ti spiego come.
Ti chiedo, ogni giorno da qui alle prossime 2 settimane, di farti questa domanda:
“Cosa farei di diverso oggi, come mi comporterei diversamente in questa giornata, se il problema che ho non ci fosse?”
Quindi, pensa e comportati “come se…” quel problema non ci fosse.
Quando le persone cominciano ad agire in modo diverso e a sentire in modo diverso, diventano differenti.
Prova e se e ti va, fammi sapere quali segni di miglioramento hai notato.
E se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto più concreto, contattami. Attraverso la Terapia Breve potremo intervenire sulla difficoltà per risolverla concretamente in tempi brevi, anche in un singolo incontro.
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